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La televisione italiana nasce il 3 gennaio 1954. I primi esperimenti risalgono agli anni Venti e Trenta, ma vengono interrotti  dal secondo conflitto mondiale,  riprenderanno nella seconda metà degli anni Quaranta.

Da www.corriere.it

 riprendiamo un significativo brano dell'articolo di Enzo Biagi "Più che Garibaldi ha potuto la Rai"


"La Rai compie cinquant’anni. Auguri. Ho ripensato con nostalgia, forse anche perché sono molto datato, al tempo in cui in tv c’era la clessidra che misurava gli interventi dei politici e tra i partecipanti figurava Giancarlo Pajetta che con una battuta tirava su un programma. Inventarono anche la figura del moderatore che avrebbe dovuto spegnere le dispute troppo accese, ma che risultava spesso come un povero pompiere condannato a buttar acqua dentro un lago.
Una volta si diceva, per accreditare una notizia: «Lo ha detto la radio». Poi ci si è adeguati: «L’ho visto in tv». Qualcuno, anzi, dice: «L’ho visto per televisione».
Sono accadute tante cose da quando l’azienda, che era nata a Torino (via Arsenale 21, un indirizzo leggendario), venne trasferita a Roma. La politica ha giocato le sue carte, e qualcuna è risultata poi truccata, sono passati tipi che si intendevano di quel lavoro come io di numismatica, ma per le leggi della statistica è accaduto anche che fosse promosso qualche bravo. Ho in mente serate inconsuete, perché erano straordinari gli ospiti (che poi magari finivano in una lista di tipi da non invitare), come Curzio Malaparte e Guglielmo Giannini.
Malaparte, a sorpresa, lanciò un inno al divorzio e fece precipitare in studio uno sgomento Sergio Pugliese. Esisteva anche la censura di cui poi non ci fu più bisogno perché molti autori provvedevano già da soli. Facevano scandalo, nientemeno, le sorelle Kessler, due memorabili Fräulein che avevano gambe infinite come la Provvidenza. C’erano anche i varietà di Falqui, di raffinata eleganza, i duetti fra Tognazzi e Vianello, Sandro Bolchi che girava «Il mulino del Po» e Mike Bongiorno, un giovanotto che arrivava dall’America.
Poi venne l’epoca del combattutissimo Ettore Bernabei che portò in tv la divulgazione, e che fece davvero una televisione di servizio, non solo per le sue convinzioni, ma per la gente: e doveva navigare in un mare tempestoso, accontentando sia i partiti che lo spettatore.
Sulla Rai, direi ovviamente, si possono avere contrastanti opinioni: ma è lo specchio, più o meno deformato dal mezzo, della vita, dei contrasti, delle delusioni e delle nostre speranze. Ma ha un ruolo insostituibile per i cittadini di questo Paese: ha unificato gli italiani più di Mazzini e di Garibaldi. Ha modificato il linguaggio, e il costume, e ha fatto compagnia a milioni di persone sparse in questa lunghissima penisola".