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         | "La Rai compie 
        cinquant’anni. Auguri. Ho ripensato con nostalgia, forse anche perché 
        sono molto datato, al tempo in cui in tv c’era la clessidra che misurava 
        gli interventi dei politici e tra i partecipanti figurava
        
        Giancarlo Pajetta che con una battuta tirava su un programma. 
        Inventarono anche la figura del moderatore che avrebbe dovuto spegnere 
        le dispute troppo accese, ma che risultava spesso come un povero 
        pompiere condannato a buttar acqua dentro un lago. Una volta si diceva, per accreditare una notizia: «Lo ha detto la 
        radio». Poi ci si è adeguati: «L’ho visto in tv». Qualcuno, anzi, dice: 
        «L’ho visto per televisione».
 Sono accadute tante cose da quando l’azienda, che era nata a Torino (via 
        Arsenale 21, un indirizzo leggendario), venne trasferita a Roma. La 
        politica ha giocato le sue carte, e qualcuna è risultata poi truccata, 
        sono passati tipi che si intendevano di quel lavoro come io di 
        numismatica, ma per le leggi della statistica è accaduto anche che fosse 
        promosso qualche bravo. Ho in mente serate inconsuete, perché erano 
        straordinari gli ospiti (che poi magari finivano in una lista di tipi da 
        non invitare), come
        
        Curzio Malaparte e Guglielmo Giannini.
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        | Malaparte, a 
        sorpresa, lanciò un inno al divorzio e fece precipitare in studio uno 
        sgomento Sergio Pugliese. Esisteva anche la censura di cui poi non ci fu 
        più bisogno perché molti autori provvedevano già da soli.
        
        Facevano scandalo, nientemeno, le sorelle Kessler, due memorabili
        Fräulein che avevano gambe infinite come la 
        Provvidenza. C’erano anche i varietà di Falqui, di raffinata 
        eleganza, i 
        duetti fra Tognazzi e Vianello, Sandro Bolchi che girava «Il 
        mulino del Po» e
        
        Mike Bongiorno, un giovanotto che arrivava dall’America. Poi venne l’epoca del combattutissimo
        
        Ettore Bernabei che portò in tv la divulgazione, e che fece 
        davvero una televisione di servizio, non solo per le sue convinzioni, ma 
        per la gente: e doveva navigare in un mare tempestoso, accontentando sia 
        i partiti che lo spettatore.
 Sulla Rai, direi ovviamente, si possono avere contrastanti opinioni: ma 
        è lo specchio, più o meno deformato dal mezzo, della vita, dei 
        contrasti, delle delusioni e delle nostre speranze. Ma ha un ruolo 
        insostituibile per i cittadini di questo Paese:
        ha 
        unificato gli italiani più di Mazzini e di Garibaldi. Ha 
        modificato il linguaggio, e il costume, e ha fatto compagnia a milioni 
        di persone sparse in questa lunghissima penisola".
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